All’indomani della sua elezione a Presidente della Repubblica croata, Kolinda Grabar Kitarovic ha concesso un’intervista a Il Piccolo.
«Dalmatinac sam, tu sam rodjen ja» («Sono dalmato, sono nato qui»). Al quartier generale del centrodestra, in via Slavonska, un trio di musicisti strimpella della musica tradizionale, mentre i risultati scorrono sui maxi schermi. Dal soffitto trentaquattro bandiere croate di cinque metri scendono ad ornare la sala. «Lo sapevo che avrebbe vinto», afferma raggiante Nataša, una delle giovani supporter della candidata conservatrice. Che cosa non le piaceva di Josipovic? «Non è croato», esclama, poi sorride. «È nostalgico della Jugoslavia. Quando fa un discorso dice sempre “cittadini” e mai “croati”». La sua amica Ana, anche lei 28enne, è d’accordo: «Josipovic lavorava più per i serbi che per noi». A qualche metro di distanza, vicino al palco, Miroslav (25 anni) è insofferente: «Mi hanno chiesto di fare il dj e invece questi continuano a suonare». Ma in sala, i giovani sono in minoranza e la musica tradizionale è un’esigenza. Passate le undici, Josipovic ammette la sconfitta: «Lo scarto è minimo, ma è questa la democrazia». Pochi minuti più tardi, tocca alla 46enne fiumana, Kolinda Grabar Kitarovic salire sul palco.
Si aspettava questa vittoria?
Sì, ne ero sicura fin dal primo giorno. Quando voglio qualcosa, vado fino in fondo.
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